Fèria grosa ed Rigòs

Come ogni anno, nell'ultima domenica di giugno, a Rigoso si festeggia l'antica tradizione del grande mercato. Una festa che celebra il paese per quello che un tempo era luogo di scambi commerciali tra vallate adiacenti, terre di confine dove spesso il contrabbando aveva la meglio.
Come si legge dalla descrizione di Don Giuseppe Cignolini inviata nel 1804 al Cardinale Carlo Francesco Caselli: 
"Restami finalmente a parlar del commercio, che appunto ho riserbato a questo passo, perché senza conoscere la legislazione ed i costumi di questa popolazione non si potevano manifestare le cause che gli danno spirito e forma. Commerciano addunque questi abitanti in generi e l'opera loro. Quanto ai generi vi sono naturalmente invitati dalla vicinissima libertà in cui vivono a questo riguardo e dalla vicinanza della Lunigiana, la quale o pel suo naturale bisogno o per farne commercio co' Genovesi ritira sempre dal Parmigiano molta quantità di granaglie. Ne' mesi quindi d'estate si fa un florido mercato di questo genere in Rigoso luogo situato in prossimità del confine e del tutto acconcio a tal uopo. Ma siccome la sterilità di questo suolo non ne somministra di superfluo, si è avuto ricorso allo stratagemma ed al contrabbando."


Quest'anno la Fèria grosa (Festa grossa) si è svolta domenica 28 giugno ed ha richiamato la presenza di numerosi visitatori. Rigoso si è animato di persone, colori e profumi tra le bancarelle dello storico mercato, mentre torta fritta e salumi, birra e una meravigliosa giornata di sole hanno sancito l'inizio dell'estate nel più alto borgo dell'Appennino parmense.


Rigoso e le Corti


Rigoso è un antico borgo di confine tra Emilia, Toscana e Liguria. Per la sua posizione dominante sulle Corti vicine può vantare il primato di esserne stato il fulcro fino al 1353, tanto che l'Imperatore Enrico IV indicava il nostro territorio come le "Curtis Raygusii". Toscani, Liguri, Modenesi e Monchiesi passavano per il florido mercato del paese che permetteva gli scambi commerciali nei periodi estivi, prima che il freddo inverno appenninico chiudesse le vie di comunicazione al di là dei passi. I suoi abitanti vengono soprannominati i "Bigot" dai vicini di Aneta e i "Scitadin" dagli abitanti delle altre frazioni. Stiamo parlando della Corte che per altitudine (1131 m s.l.m) domina tutte le altre dalla splendida cornice dell'Alpe di Succiso e del passo del Lagastrello.



Le Corti di Monchio" (Curtes Montium), un tempo di Nirone, poi di Rigoso ed infine di Monchio, divennero feudo del Vescovo di Parma sin prima dell’anno mille e rappresentarono un importante esempio di giurisdizione autonoma montanara. Si estendevano nella parte media ed alta della Val Cedra, nella parte alta della Val Bratica e della Val d’Enza, comprendendo 14 villaggi: Casarola, Ceda, Grammatica, Lugagnano, Monchio, Nirone, Pianadetto, Riana, Rigoso, Rimagna, Trefiumi, Valcieca, Valditacca e Vecciatica.


Le prime notizie delle Corti si hanno nell’anno 879, in occasione della donazione di terreni da parte di Carlomanno al Vescovo di Parma Guibodo. I vari Vescovi feudatari erano rappresentati in loco da un Podestà o Giusdicente, il quale era coadiuvato dai Consoli, uno per ogni Corte, e dai consiglieri; le elezioni avvenivano ogni anno in occasione della Pasqua (erano pochi gli aventi diritto al voto). Un unico sbirro garantiva l’ordine pubblico, un Camparo aveva in custodia i campi e i pascoli. Pur apparendo singolare un governo civile sotto la giurisdizione di un Vescovo, i sudditi delle Corti erano soddisfatti di questo tipo di governo, perché i vantaggi apportati agli abitanti da tale stato di autonomia erano notevoli: pochi tributi ed esenzione dal servizio militare. 


Toscani, Liguri, Modenesi e Monchiesi commerciavano costantemente fra di loro ed il punto principale di mercato era Rigoso. Gli abitanti delle Corti vendevano i loro prodotti in cambio di sale, olio o vino, generi preziosissimi per la popolazione che ne era priva. Tuttavia questi traffici duravano pochi mesi, ossia fino a che il freddo e la neve non chiudevano ogni tipo di comunicazione di là dell’Appennino. Tuttavia, le necessità spesso spingevano numerosi abitanti ad emigrare nelle maremme toscane e romane e talvolta fino alla Corsica o Sardegna, in cerca di lavoro.



Le Corti ebbero lunga vita e terminarono nel 1805 quando Napoleone, imperatore e Re del Regno Italico, abolì con un decreto tutti i diritti feudali: cadeva così il millenario dominio dei vescovi sui possedimenti delle Corti. Nirone e Valcieca passarono sotto Palanzano, Grammatica sotto Corniglio e Cozzanello divenne frazione del Comune di Monchio.